L'Unità d'Italia e l'aspetto bifronte del Brigantaggio
Crucoli – E’ approdato alla Casa della Cultura di via Borgogna a Milano lo spettacolo “Simu Briganti” le cui musiche sono di Claudio Sambiase ed i testi di Cataldo Russo scrittore e studioso originario di Crucoli che vive e lavora a Milano come dirigente scolastico, con all’attivo diverse pubblicazioni. e presidente dell’associazione “Tutti per Crucoli” di Milano. “L'unità d'Italia è stata spesso sottomessa alla retorica, anche se mi rendo conto che questa a volte serve per evitare pericolose derive divisioniste” precisa Russo che nella pièce, rappresentata da due anni in teatri, piazze e circoli culturali d'Italia, rivisita la figura del brigante meridionale, specie di quello calabrese, e ripercorre alcune tappe dell'Unità d'Italia attraverso una sorta di confessione allo specchio da parte di alcuni protagonisti degli eventi che portarono all'unità del paese. L’autore parlando dell’opera rileva che “non vi sono dati certi né sul numero di briganti uccisi né sulle vittime che l’Unità d’Italia costò alla popolazioni meridionali. Ancora troppe le omertà e le zone d’ombra su cui difficilmente si vorrà fare luce, anche perché questo aspetto sembra non rientrare per nulla nei programmi delle celebrazioni ufficiali del centocinquantesimo - ha commentato Russo aggiungendo che - ancora una volta la ricorrenza è improntata più all’autocelebrazione e alla ragion di stato, che non al coraggio di rivelare qualche squarcio di verità. Fonti che possono essere ritenute attendibili dicono che furono circa 60 mila le persone fucilate o uccise in scontri a fuoco, perché accusate o sospettate di essere briganti. Di queste persone trucidate i briganti veri furono con ogni probabilità non più di 5, 6 mila. Gli altri furono per lo più giovani che reagirono a un’imposizione o a un torto da parte dei nuovi governanti, oppure giovani che disattesero un ordine, che furono renitenti alla leva, perché magari non ricevettero mai la “famigerata cartolina”, persone che si rifiutarono di portare il raccolto o il bestiame all’ammasso, che diedero, consapevolmente o non, aiuto o ospitalità al compaesano ricercato perché in odore di brigantaggio.” Andando nel vivo del discorso Russo ricorda inoltre che “il brigante meridionale è passato alla storia come l’archetipo del fuorilegge sanguinario, brutale, incolto e rozzo, che uccide per puro piacere. Non è così invece per altri briganti. Il Passatore Cortese, al secolo Stefano Pelloni, è passato alla storia per il brigante cortese, grazie alla penna di Pascoli che ne ha immortalato le gesta nel componimento Romagna. Il luogo comune ha un’incredibile forza comunicativa, contribuendo a formare opinione pubblica e convincimenti difficili da sradicare. Lo spettacolo – dice Russo - vuole far riflettere su quanti hanno perso la vita ingiustamente, tacciati di essere briganti e sulla figura del brigante come combattente o ribelle che, in buona o malafede, sceglie di stare da una parte”. “Brigante nun è chi lotta pe’ ra vita… Brigante è chini affama lu pezzentu…” fa dire Russo in dialetto calabrese ai suoi attori. Una figura bifronte quella del brigante come colui che si da alla macchia ma, anche, come chi forte del potere commette abusi e reati. Nella seconda parte dello spettacolo, Russo fa parlare Edward Gladstone, il diplomatico e giornalista inglese inviato nel Regno delle Due Sicilie da Lord Palmerston, autore della famosa lettera La Negazione di Dio “che dava una visione estremamente negativa, quasi apocalittica della situazione nel regno di Ferdinando Secondo, detto ‘u re chiattone”, dice l’autore dell’opera che presenta figure come Garibaldi, deluso per l’Unità d’Italia “finita com’è nelle mani di carrieristi, qualunquisti e papalini”, Mazzini, “disilluso per aver sacrificato le sue idee repubblicane a favore di una monarchia che fa fatica a interpretare le istanze di giustizia e di rinnovamento di cui ha bisogno il paese” - continua Russo – presentando il poeta napoletano Salvatore Di Giacomo, “il legittimista che, pur non avendo preso parte agli eventi, è dispiaciuto del rapido declino della sua Napoli”. La conclusione del lavoro è affidata alla gente semplice come il cafone, che non riesce ad uscire dalla sua condizione di sfruttato e la contadina barbaramente uccisa, con l’accusa di essere stata una brigantessa, insieme a quattro figli dopo averne persi altri tre, morti combattendo nell’esercito del nuovo re. Anche Crucoli ha dato un contributo, seppure marginale e sempre legato al fenomeno del brigantaggio come lotta politica. “Il nostro territorio fu percorso dal fenomeno ma, non ci sono testimonianze dell’esistenza di briganti crucolesi ma, sicuramente, come accadeva allora, i briganti che avevano scelto Crucoli come treatro delle loro lotte, hanno potuto contare sulla complicità di alcuni crucolesi” ritiene Russo ribadendo che “mancano riferimenti precisi e solo alcune fonti ricordano che nel 1862 Emanuele De Bartolo e Giuseppe Guscimà denunciarono al sindaco di Crucoli di allora, Giuseppe Palopoli, di essere stati testimoni della fucilazione di 4 briganti: Giuseppe Murrone di anni 25, brigante di professione, figlio dell'agricoltore di Longobucco Antonio Murrone; Nicola De Luca di anni 23, brigante di Petrapaola, figlio del fu Giuseppe, agricoltore; Francesco Curcio di anni 26, brigante di Trento, figlio di fu Antonio, agtricoltore di Trento; Pasquale Forciniti di anni 20, brigante di Longobucco, figlio di Antonio, forese di Longobucco.” Anche a questi uomini si è ispirato Russo per il suo lavoro che conclude “avrei tanto voluto che questo 150esimo fosse celebrato all'insegna della riflessione e della riappacificazione ma, credo non sarà così.”